Dei Sepolcri, vv. 173-225
E tu prima, Firenze, udivi il carme 173
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
dèsti a quel dolce di Calliope labbro,
amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma più beata che in un tempio accolte
serbi l’Itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti, 183
armi e sostanze t’invadeano, ed are
e patria, e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi,
irato a’ patrii Numi; errava muto
ove Arno è più deserto, i campi e il cielo
desîoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura, 193
qui posava l’austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
fremono amor di patria. Ah sì! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutrìa contro a’ Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,
la virtù greca e l’ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
vedea per l’ampia oscurità scintille 203
balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d’armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
silenzi si spandea lungo ne’ campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de’ venti, 213
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna
oltre l’isole Egée, d’antichi fatti
certo udisti suonar dell’Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode Retèe l’armi d’Achille
sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi
giusta di glorie dispensiera è morte:
nè senno astuto, nè favor di regi
all’Itaco le spoglie ardue serbava, 223
chè alla poppa raminga le ritolse
l’onda incitata dagl’inferni Dei